Nel cinema americano degli anni ’40 e ’50, soprattutto in quello cosiddetto noir, non raramente ci si può imbattere nel faccione inconfondibile di William Bendix, quasi sempre in ruoli di gangster duro e brutale1, talvolta con manifestazioni sadiche, come in The Glass Key – quando ostenta il suo selvaggio compiacimento nel torturare Alan Ladd, anche con qualche sfumatura omo-erotica – o come quando, in The Dark Corner, per vendicarsi schiaccia la mano di Mark Stevens a terra privo di sensi, dopo che lo aveva cloroformizzato. Eppure, questi atteggiamenti non lo rendono antipatico, e neppure troppo sgradevole, anche se la sua presenza non ha niente di attraente, e soprattutto non traspare in lui nessuna intenzione di apparire tale. Lui è così, grosso, sgraziato, sopra le righe, e non lo nasconde proprio, se ne frega dell’opinione degli altri, anzi, sembra fregarsene perfino del pubblico in questo suo mostrarsi così com’è, privo del minimo infingimento. Proprio perciò, probabilmente, piace, più è cattivo e scorretto e più piace, perché si capisce che lui deve essere così, quindi che non recita, non sembra nemmeno un vero ‘attore’, tale è il suo realismo nelle mosse e nelle battute di dialogo. Quando appare al centro dell’azione, grosso e tozzo com’è, riempie lo schermo, come si dice, calamita l’attenzione dello spettatore, che ne percepisce la presenza proprio fisica, quasi ne sente l’odore – certamente forte, umano, e si vede che sta realmente sudando – e istintivamente sta in guardia, intuendo che da un momento all’altro lui può fare qualcosa di particolarmente eclatante e pericoloso, oltre i limiti. Certi particolari poi rafforzano questa impressione, ad esempio la sua capigliatura, ricciuta e folta: quando si batte con qualcuno, oppure dopo aver fatto qualcosa di veramente eccessivo, un omicidio ad esempio, c’è sempre un momento in cui si rialza e subito sistema di nuovo al suo posto un lungo ciuffo che si era scomposto nell’azione. È qualcosa di stridente rispetto alla maggioranza degli altri attori, sempre ben pettinati, sempre vestiti nel modo giusto, composti anche quando si picchiano con qualcuno. Anche i suoi vestiti sono un po’ così, eccessivi e smodati, ad esempio il completo bianco che indossa – deliberatamente, per essere notato – quando pedina Bradford Galt / Mark Stevens. Dopo l’involontario rovesciamento del calamaio, questi, stizzito, con un gesto volgare e arrogante si pulisce la mano sporca d’inchiostro sulla giacca bianca di Bendix, che pure non reagisce, limitandosi a osservare, interdetto. Ma un breve lampo nel suo sguardo incredulo ci fa capire che il gesto, così come tutto il comportamento aggressivo del rivale, non gli sono proprio piaciuti e prima o poi si vendicherà. Ciò che succederà infatti quando schiaccia, con visibile compiacimento, la mano di Stevens svenuto a terra, prima di eclissarsi dal luogo del delitto2.
Pare che più di una volta Bendix abbia dichiarato il suo scarso coinvolgimento nella professione dell’attore, qualcosa da fare giusto per intascare il compenso, e poi subito pronto a calarsi con noncuranza in un nuovo ruolo, con un atteggiamento da proletario, da manovale senza fisime. Un blue collar come dicono gli americani: gente che si sporca le mani, l’opposto dei white collar, gli impiegati sempre vestiti in modo formale, che guadagnano di più e non si sporcano mai le mani lavorando. Bendix sembra veramente uno di loro, un blue collar – e non mi risulta abbia mai impersonato un ‘colletto bianco’, gli sarebbe stato impossibile –, ciò che induce nell’errore di credere a quelle sue parole, di credere cioè che non sia un vero attore. In realtà si tratta di un eccellente attore, sempre privo di smancerie, inetto al birignao, perfino misurato nella sua smisuratezza. Infatti, non atteggia mai o quasi mai il volto a smorfie o atteggiamenti ‘attoriali’, usando soprattutto gli sguardi e le movenze del suo corpaccione, e quella voce inconfondibile, tutto meno che coltivata e artefatta, che è indispensabile ascoltare com’è, quindi non doppiata, per apprezzare completamente la maestria sprezzata, noncurante, di questo grande, inimitabile attore.
1 L’eccezione che viene subito in mente è quella di Lifeboat, il film di Hitchcock ambientato su una lancia piena di naufraghi dopo l’affondamento di una nave da parte di un sommergibile tedesco. Qui peraltro, nella parte di un brav’uomo molto sfortunato e altrettanto altruista, vien fuori meglio la vera natura dell’uomo Bendix, descritto da tutti come una persona positiva e gradevole, alieno rispetto a certi canoni hollywoodiani al punto di rimanere per tutta la vita sposato, dall’età di 21 anni, con un’amica d’infanzia.
2 La scena, una delle due del film in cui i due si confrontano, apparendo insieme per alcuni minuti, è molto eloquente nel farci vedere come tra i due il più bravo sia senza dubbio Bendix, che si muove pochissimo quasi limitandosi ad osservare, perfino con un certo distacco, le mosse di Stevens. Che è – qui come in tutto il film – artificioso, affettato, già a partire dalla voce, che sono sicuro abbia contraffatto, malamente, per sembrare più duro e più amaro. Invece Bendix è Bendix, e senza apparentemente impegnarsi esce vincitore dal confronto attoriale; e noi – per me almeno è stato così – sotto sotto stiamo più con lui, dalla parte del cattivo, piuttosto che da quella del presunto buono (in verità alquanto antipatico, e ben poco plausibile) Stevens. Lo stesso regista Hathaway dichiarò la sua delusione per la scelta di questo attore, a suo parere il punto debole del film.