Gian Antonio Gilli: Due storie di Mun ange

Quinto numero della collana la nostra musica, stampato su carta usomano avoriata nel mese di novembre 2022 in 30 copie (+ quattro), consta di 20 pagine compresa la copertina, nel formato (chiuso) cm 13 x 19; sono inoltre incluse due immagini fuori testo, in b/n.
Il libro contiene due testi scritti in occasione dei due più recenti appuntamenti annuali di Mun ange, il luogo espositivo creato dallo stesso autore a Crissolo (CN).
Mun ange esiste dal 2015, la sua attività è ampiamente illustrata sul sito munange.it.

Il padrone della bottega sentiva che era suo dovere pensare al destino della bottega, a cosa ne sarebbe stato dopo di lui. Non era sposato, non aveva figli, nessun parente importante cui affidarla, dopo un lungo tirocinio guidato da lui. Tutto sarebbe finito in un disordine tumultuoso, violento. E soprattutto ingiusto, come ogni morte improvvisa.
Ma questo non si addiceva a una bottega, a ciò che una bottega significa per un paese. L’unico luogo in cui avvenivano scambi sostanziali, tutti minuziosamente regolati. Dove lo status delle persone, e delle loro famiglie, veniva ogni volta silenziosamente sottoposto a conferma.
Perché una bottega era, subito dopo la chiesa, ciò che di più permanente esiste in un paese.

(incipit di Il padrone della bottega)

Il sorriso

La scorsa estate a B. mi capitava spesso di fermarmi a sedere su una o l’altra di due piccole sedie di legno poste sotto un grande ciliegio, lungo la strada [ v. qui ]. Da lì si può godere la visione di un bellissimo panorama, sempre calmo, sereno, dove predomina il silenzio, interrotto quasi soltanto dai rintocchi regolari della campana del tempio di S., la borgata poco distante. Era per me sempre una sosta piacevole, e riposante, se venivo da una passeggiata abbastanza lunga; nel pomeriggio poi, da una certa ora in poi lì c’era ombra, ed era quindi fresco anche nelle giornate più calde di luglio. Qualche volta successe perfino che ci fosse qualcuno con me, e perciò le due sedie erano entrambe occupate; si creava così un luogo in cui due persone stavano per qualche tempo insieme chiacchierando mentre guardavano il panorama. Ogni tanto passava un trattore guidato da un uomo anziano, sempre lentamente, per dirigersi nel campo lì sotto e fare certe cose per me non sempre facili da capire, ma che dovevano avere la loro importanza, e bisognava farle anche con una certa regolarità. Il vecchio, che vive in una delle due belle case in pietra affiancate, a poche decine di metri dal ciliegio, ogni volta mi salutava con un cenno, spesso un breve sorriso appena accennato, a cui io sempre rispondevo; oppure era lui che rispondeva al mio saluto.
Tornando lì un mattino di un mese fa circa – c’era un bellissimo sole quel giorno, ti scaldava – mi ero accorto di una novità: di fronte alle due sedute, a poca distanza (più o meno la stessa che c’è fra i due piccoli ‘troni’ in legno) ora c’era un nuovo ceppo, tagliato in modo tale da avere un piccolo piano superiore, insomma un tavolino, qualcosa di cui, pensai subito, effettivamente si poteva sentire la mancanza lì. Il fatto che la situazione fosse mutata, con l’aggiunta di quel rudimentale tavolino, mi fece piacere, significava un’evoluzione, ovviamente gestita da qualcuno; insomma qualcosa di vivo e vitale, mentre prima pensavo che forse le due sedute si trovavano lì già da molto tempo, un po’ dimenticate, e magari chi le aveva sistemate non era nemmeno più al mondo…
Ieri mattina, vigilia di Natale, sono tornato da quelle parti, come sempre ho lasciato l’auto poco dopo S., incamminandomi poi verso B., dove avrei ritirato il pane che avevo prenotato. C’era ancora un po’ di neve nei campi, ma la strada era sgombra e splendeva il sole, si camminava bene. Dopo pochi passi incontro un cane, al solito piuttosto diffidente, e ringhiante, ma subito zittito, ovvero tranquillizzato da un uomo che stava sistemando una rete lungo la strada, di quelle usate per trattenere bestie – mucche, capre o pecore – al pascolo. Era lui, il vecchio, stavolta a piedi, senza trattore, e ci siamo salutati, come sempre molto sobriamente.
Una ventina di minuti dopo, sulla via del ritorno per raggiungere la mia auto e ripartire, lo vedo già da una certa lontananza, sullo sfondo della nebbia che nel frattempo era salita; constato che era andato avanti col suo lavoro, e mi accorgo subito che mi sta guardando. Quando, dopo qualche secondo, ripasso davanti alle due sedie e al ‘tavolino’, rivolgo loro uno sguardo rapido ma anche ostentato, dopodiché, passando accanto al vecchio (si trovava lì vicino, a pochi metri), sorridendo gli dico “Ho visto che avete aggiunto un tavolino… ci mancava proprio!”, senza neppure fermarmi, e lui mi risponde, pronto, con un largo sorriso, senza dire una parola. Penso che ho fatto bene a pronunciare quella battuta, deve essergli piaciuta.
Soltanto molte ore dopo, alla sera tardi, mentre sto parlando con mia figlia, che vive lontanissimo dall’Italia, ma che la scorsa estate era stata qualche giorno con me a B., e almeno una volta ci eravamo seduti insieme per qualche minuto là sui due ‘troni’ sotto il ciliegio, improvvisamente capisco. Deve averlo costruito lui, quel tavolino, pensando che mi sarebbe potuto servire, se un giorno fossi tornato lì per leggere un libro, come mi aveva visto fare tante volte, e ha agito senza neppure sapere se sarei tornato, ma forse, chissà, sperandoci.
Perciò ieri mattina ha risposto alla mia battuta con quel largo sorriso, veramente soddisfatto e compiaciuto.

25 dicembre

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