Andare là

“Andare là” contiene Ritorno a M., scritto nel 2020, e Una passeggiata autunnale a M., scritto nel 2008. Pubblicato nel mese di giugno 2020 in 3 copie più una, misura cm 13 x 19; è stampato su carta usomano avoriata e consta di 16 pagine; vi è inclusa un’immagine a colori fuori testo.

Per provare a descrivere questo luogo, si può dire che la sua morfologia è assai semplice, anzi essenziale: racchiusi fra i due opposti rilievi collinari, i campi coltivati, regolari e ordinati; le macchie di piante selvatiche sparse qua e là, con evidente – o quanto meno assai probabile – casualità; qualche filare di pioppi o salici, di quando in quando un’isolata quercia, qualche gelso; la stradina che serpeggiando costeggia campi e boschi; i dolci pendii, a loro volta in gran parte coltivati. Soprattutto, un’ampiezza ‘a misura d’uomo’, perché tutto quel che c’è, il più vicino come il più lontano, si può vedere facilmente, così come si possono agevolmente udire tutti i suoni, anche i più lontani: la valle è come un grande occhio e un grande orecchio, insieme. E la dolcezza che arriva allo sguardo come una carezza, osservando la piccola valle, e alle orecchie, ascoltando, corrisponde a quanto si percepisce attraverso i piedi, camminandoci.

(estratto da Ritorno a M.)

Après la pluie / Dopo la pioggia

Après la pluie (une apparition) / Dopo la pioggia (un’apparizione) contiene lo stesso mio testo, del 2019, in due versioni: la sua traduzione in francese (curata da Guillaume Zitoun e Giuseppe Furghieri) e quella originale in italiano. Il piccolo libro misura cm 13 x 19, consta di 16 pagine e contiene una illustrazione in b/n. E’ stato stampato – in 5 copie più una – su carta usomano avoriata e pubblicato nel mese di giugno 2020.

La prima volta che andai a Digne-Les-Bains, nella primavera del 2018, non ricordo bene se vidi il Pic d’Oise, sulla strada dell’andata o tornandone. Può essere che l’abbia visto senza farci caso più di tanto, ma ora non me ne ricordo. Ero andato a trovare un amico, Alessandro, che si trovava lì per una residenza artistica. Qualche mese dopo, arrivando un po’ per caso alla pagina su Wikipedia che la riguarda, vidi una fotografia di questa montagna così bella, tutta ricoperta di vegetazione, e dalla forma dolcissima, molto simile a quella di un piccolo seno femminile. Da quel momento crebbe in me il desiderio di tornare là per vederla più da vicino, magari anche per salire sulla sua cima, il capezzolo di quel seno di pietra.

La première fois que je suis allé à Digne-Les-Bains, au printemps 2018, je ne me souviens pas exactement si je vis le Pic d’Oise sur la route à l’aller ou en revenant. Il se peut que je l’aie vu sans y faire attention plus que cela, mais à présent je ne m’en souviens pas. J’étais allé rendre visite à un ami, Alessandro, qui s’y trouvait pour une résidence d’artiste. Quelques mois plus tard, sur la page Wikipedia qui s’y réfère, je vis une photographie de cette montagne si belle, toute recouverte de végétation, à la forme tellement douce, très proche de celle d’un petit sein féminin. A partir de ce moment, le désir a grandi en moi d’y retourner pour la voir de plus près, éventuellement aussi pour gravir jusqu’au sommet du mamelon de ce sein de pierre.

(estratto dal libro)

Pensare pietre / Thinking stones

Seconda edizione, dopo la prima uscita nel 2015, contenente il testo del 2010-14 (riveduto e corretto) sia in versione originale italiana sia nella traduzione inglese. In Appendice anche “Sulle punte / Up high”, un testo scritto nel 1987-1991 che viene pubblicato per la prima volta in volume. Il libro, stampato nel mese di maggio 2020 in 30 copie (più due), consta di 50 pagine e comprende anche un’immagine a colori e una in b/n, entrambe fuori testo. Il formato chiuso è cm 13 x 19.

Vorrei spiegare – anche a me stesso – cosa vedo in queste pietre, particolarmente in quelle infine scelte, soprattutto a casa, e cerco le parole giuste per dire che cosa rappresentano per me, motivandomi alla scelta, e poi alla loro conservazione, fatta di frequenti osservazioni tenendole in mano. Forse ci trovo l’essenza di quel che ho fatto e pensato, quello che ora sto pensando e che forse farò, che è già (o ancora) mio anche se non lo possiedo e nemmeno posso vederlo.

I would like to explain – also to myself – what I see in those stones, particularly in the ones that I finally select (especially at home), and I’m trying to find the right words to express what they mean to me, what compels me to chose and then collect them, and frequently gaze at them in my hand. Maybe, in the stones, I find the essence of what I did and thought, what I’m thinking about and what, perhaps, I will do, that is already (or still) mine though I don’t own it and can’t even see it.

(un estratto dal testo, nelle due versioni)

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Andarsene

“Andarsene (storie silenziose e nascoste)” è stato pubblicato a Torino da leppi lampi labors nel mese di luglio 2020, in 50 copie, ha 60 pagine + 4 di copertina, in carta usomano bianca, nel formato (chiuso) cm 13 x 19. All’interno 16 testi (più uno in Appendice) scritti nel 2019, e due immagini fuori testo, una a colori e una in b/n.

Anèddoti in prima persona [estratto da Andarsene]

Alcuni dei testi compresi in questo volume mi sembrano poter essere definiti anèddoti1 ‘in soggettiva’, se è vero che sono narrati usando la prima persona singolare dei verbi – mentre generalmente viene usata piuttosto la terza, singolare o plurale. La modalità ‘in soggettiva’, ovvero le inquadrature tutte dal punto di vista di un’unica persona, che pure non si vede mai – a meno che non si trovi di fronte a uno specchio – viene molto raramente utilizzata nel cinema, e ogni volta per brevi sequenze2, e ne sono stati fatti effettivamente pochissimi tutti così, perché è praticamente impossibile sostenere sempre quell’unico punto di vista, ciò che dopo un po’ stanca e trasmette anche un certo senso di disagio. Ma allora come facciamo noi, ognuno di noi, per un’intera vita, sempre, a vedere e vivere tutto da quell’unico punto di vista perfino mentre si dorme, nei sogni? Perciò i momenti forse più rilevanti di questa raccolta di testi si trovano all’interno di Cadere, e sono quelli in cui descrivo la perdita della consapevolezza di me per un secondo o forse meno, ellissi che non potrò mai riempire con alcun ricordo, perché mentre quei fatti accadevano non ero cosciente, non vedevo le cose dal mio solito, immutabile punto di vista, non vidi infatti niente, e niente potrei mai ricordarmi. Insomma, io credo proprio che a contare di più in questa antologia di testi siano quegli unici istanti sfuggiti al mio controllo, quando accadde qualcosa che non vidi e non vissi e rimane perciò escluso dal racconto, indescrivibile. E che sono perduti per sempre, per quanti sforzi potessi mai fare per recuperarli.
Ma ci sono anche altri momenti notevoli, per motivi analoghi, che ho vissuto e che echeggiano in questo libro, ad esempio quelli descritti in Andarsene, quando per pochissimi secondi non fui in grado di riconoscermi, dato che mi vedevo da dietro, come non può mai succedere. Oppure quelli descritti in Senza titolo, quando, anche lì per qualche attimo, non mi riconoscevo nel riflesso dei finestrini, soprattutto di quelli di sinistra, più lontani da me. Infine, nell’epigrafe a Gli occhi di Bette Davis, nella descrizione fatta da Cormac McCarthy delle mosse del cieco, che sembra guardare nel fondo del bicchiere, parrebbe balenare qualcosa di molto simile ai momenti sopra descritti, tutti vissuti da me, qualcosa che non saprei davvero definire (come forse, credo, nemmeno McCarthy), essendo effettivamente indicibile. Forse in quei pochi attimi fugaci il cieco sembra avere una particolare coscienza, che potrebbe consistere in una momentanea perdita di quella sua abituale, a cui assiste inerme, come è accaduto a me stesso quella mattina.

C.F. , 31 dicembre 2019

1: il termine anèddoto deriva dal greco e significa, etimologicamente. ‘inedito’. Propriamente, cosa inedita, episodio o fatto inedito, quindi ignoto o segreto. (…) In senso più ampio, fatto particolare e curioso della vita privata di qualcuno (cit. Vocabolario Treccani).
2: mi viene in mente ora quella di “L’uomo senza passato” di Kaurismäki in cui il protagonista, pestato a sangue, si rialza e raggiunge barcollando i bagni di una stazione, mentre tutti lo guardano – ed è come se guardassero noi – con occhi atterriti, perché dev’essere sfigurato dalle botte e pieno di sangue. C’è almeno un film tutto girato dal punto di vista del protagonista, che si vede, appunto, qualche rara volta quando passa davanti a uno specchio, credo si intitoli “Una donna nel lago”, ma non ricordo di averlo visto.

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