La notte di C.

Moltissimi anni fa, quando avevo pressapoco quindici anni, iniziai ad acquistare regolarmente la rivista mensile Linus, che conteneva molti fumetti e anche parti solo testuali. Ero un suo accanito lettore, a lungo acquistai tutti i numeri man mano che uscivano, e non potevo certo farmi sfuggire un curioso supplemento chiamato Ali Baba. Ormai l’ho perso, da decenni, anche se mi ricordo benissimo la copertina, e uno solo dei contenuti. Era il racconto di un certo Cortazar, scrittore sudamericano – argentino per la precisione – che non conoscevo, anche se il nome bastava ad ammaliarmi. Lo lessi tutto d’un fiato, per quanto possa ricordarmi, tanto era appassionante, aveva qualcosa che suonava del tutto nuovo per me, ma nello stesso tempo mi pareva di riconoscere, o ricordare, vagamente. Da allora, per quanto possa sembrare strano (Cortazar era già molto noto, e divenne celebre) non lessi mai nient’altro dello stesso autore, e il racconto – di cui avevo ben presto dimenticato il titolo – era sparito nel nulla, insieme alla mia copia di Ali Baba. Negli anni che seguirono, ogni tanto ripensavo a quello strano, affascinante racconto, perché mi era rimasto dentro, come se fosse diventato parte di me, sia pure sepolto da qualche parte, chissà dove. Per qualche motivo non avevo mai acquistato libri di Cortazar, forse perché ce n’erano tanti, pure troppi, non avrei saputo quale scegliere. Mi rimase però sempre il desiderio di ritrovare quel racconto, per rileggerlo (ma chissà, forse temevo di rimanere deluso, a volte capita, perciò, inconsciamente, evitavo la possibilità di leggerlo una seconda volta, dopo tanto tempo). Finché, qualche anno fa, mi decisi: credo fossi in una libreria del centro, lo scaffale dei libri di C. era cospicuo, erano anche in edizione economica, così ne acquistai uno, non ricordo più quale. Era comunque una raccolta di racconti, e così presi a leggere il libro nell’attesa di imbattermi in ‘quel’ racconto, di cui peraltro non ricordavo assolutamente il titolo. Ma niente, non saltava fuori, e non ce n’era neppure un solo altro che gli assomigliasse. Stessa sorte ai tre o quattro altri libri dello stesso autore che acquistai in seguito, ed ero ormai rassegnato: forse il racconto era apparso soltanto su Ali Baba, quel supplemento di Linus uscito verso la fine degli anni ’60, una vita fa… Ma alla fine, quando non ci speravo più, leggendo la raccolta Fine del gioco, uscita per la prima volta nel 1956, eccolo apparire, proprio in fondo, penultimo. Il titolo è (e forse era già quando lo lessi la prima volta, ma di questo non sono sicuro) La notte supina, un titolo piuttosto ‘chiuso’, poco attraente, come se fosse stato scelto apposta per nascondere il contenuto, distogliendo i curiosi e riservandolo ai pochi che avrebbero intuito e si sarebbero messi a leggerlo, chissà…
Il racconto è davvero perfetto (uso a malincuore il termine, ma forse ci sta, una tantum), mi ha preso anche alla seconda lettura, dopo tanti anni, perfino alla terza di qualche giorno fa (e anche stavolta ho dovuto cercarlo fra tutti i libri di C. che possiedo, perché mi ero di nuovo scordato il titolo). Ma è davvero uno dei più bei racconti che abbia mai letto, e direi anche il più bello di Cortazar, dopo averne letti un bel po’. Forse dico così dopo averlo cercato e desiderato per anni, rimanendo sempre deluso perché nessuno lo riecheggiava, tanto ero condizionato dalla mia irripetibile esperienza di quindicenne (analogamente alla vicenda descritta da Alain-Fournier in Le Grand Meulnes). Ma ho come l’impressione che lui stesso, Cortazar, la pensasse come me, e dopo averlo scritto ed essersi reso conto di aver raggiunto il massimo che era nelle su possibilità, continuò, sì, a scrivere, ma senza illudersi di poter creare qualcosa che fosse alla pari di La notte supina, se non addirittura meglio. Forse la penso così dopo aver letto certe cose successive che mi paiono sicuramente ingegnose e accattivanti, ma anche piuttosto artificiose, piene di parole e di trucchetti, che spesso mi distraggono mentre leggo facendomi perdere la concentrazione. Mentre in quel racconto non c’è una parola di troppo, non ci sono trucchetti verbali né congegni narrativi troppo sofisticati. Perché è davvero così, un racconto perfetto1.

1 Ce n’è bensì un altro, di una decina d’anni dopo, che ho trovato su un’altra raccolta, si intitola L’isola a mezzogiorno e ha un po’ lo stesso meccanismo narrativo, anche lì alla fine salta fuori una verità che spiazza il lettore, squinternando certe convenzioni spazio-temporali, con un gioco di altalena piuttosto agile ed efficace fra la cosiddetta realtà e il sogno. Ma non è altrettanto bello di La notte supina, che ha una qualità evidentemente inattingibile, da Cortazar e forse da chiunque altro.

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