Andarsene

“Andarsene (storie silenziose e nascoste)” è stato pubblicato a Torino da leppi lampi labors nel mese di luglio 2020, in 50 copie, ha 60 pagine + 4 di copertina, in carta usomano bianca, nel formato (chiuso) cm 13 x 19. All’interno 16 testi (più uno in Appendice) scritti nel 2019, e due immagini fuori testo, una a colori e una in b/n.

Anèddoti in prima persona [estratto da Andarsene]

Alcuni dei testi compresi in questo volume mi sembrano poter essere definiti anèddoti1 ‘in soggettiva’, se è vero che sono narrati usando la prima persona singolare dei verbi – mentre generalmente viene usata piuttosto la terza, singolare o plurale. La modalità ‘in soggettiva’, ovvero le inquadrature tutte dal punto di vista di un’unica persona, che pure non si vede mai – a meno che non si trovi di fronte a uno specchio – viene molto raramente utilizzata nel cinema, e ogni volta per brevi sequenze2, e ne sono stati fatti effettivamente pochissimi tutti così, perché è praticamente impossibile sostenere sempre quell’unico punto di vista, ciò che dopo un po’ stanca e trasmette anche un certo senso di disagio. Ma allora come facciamo noi, ognuno di noi, per un’intera vita, sempre, a vedere e vivere tutto da quell’unico punto di vista perfino mentre si dorme, nei sogni? Perciò i momenti forse più rilevanti di questa raccolta di testi si trovano all’interno di Cadere, e sono quelli in cui descrivo la perdita della consapevolezza di me per un secondo o forse meno, ellissi che non potrò mai riempire con alcun ricordo, perché mentre quei fatti accadevano non ero cosciente, non vedevo le cose dal mio solito, immutabile punto di vista, non vidi infatti niente, e niente potrei mai ricordarmi. Insomma, io credo proprio che a contare di più in questa antologia di testi siano quegli unici istanti sfuggiti al mio controllo, quando accadde qualcosa che non vidi e non vissi e rimane perciò escluso dal racconto, indescrivibile. E che sono perduti per sempre, per quanti sforzi potessi mai fare per recuperarli.
Ma ci sono anche altri momenti notevoli, per motivi analoghi, che ho vissuto e che echeggiano in questo libro, ad esempio quelli descritti in Andarsene, quando per pochissimi secondi non fui in grado di riconoscermi, dato che mi vedevo da dietro, come non può mai succedere. Oppure quelli descritti in Senza titolo, quando, anche lì per qualche attimo, non mi riconoscevo nel riflesso dei finestrini, soprattutto di quelli di sinistra, più lontani da me. Infine, nell’epigrafe a Gli occhi di Bette Davis, nella descrizione fatta da Cormac McCarthy delle mosse del cieco, che sembra guardare nel fondo del bicchiere, parrebbe balenare qualcosa di molto simile ai momenti sopra descritti, tutti vissuti da me, qualcosa che non saprei davvero definire (come forse, credo, nemmeno McCarthy), essendo effettivamente indicibile. Forse in quei pochi attimi fugaci il cieco sembra avere una particolare coscienza, che potrebbe consistere in una momentanea perdita di quella sua abituale, a cui assiste inerme, come è accaduto a me stesso quella mattina.

C.F. , 31 dicembre 2019

1: il termine anèddoto deriva dal greco e significa, etimologicamente. ‘inedito’. Propriamente, cosa inedita, episodio o fatto inedito, quindi ignoto o segreto. (…) In senso più ampio, fatto particolare e curioso della vita privata di qualcuno (cit. Vocabolario Treccani).
2: mi viene in mente ora quella di “L’uomo senza passato” di Kaurismäki in cui il protagonista, pestato a sangue, si rialza e raggiunge barcollando i bagni di una stazione, mentre tutti lo guardano – ed è come se guardassero noi – con occhi atterriti, perché dev’essere sfigurato dalle botte e pieno di sangue. C’è almeno un film tutto girato dal punto di vista del protagonista, che si vede, appunto, qualche rara volta quando passa davanti a uno specchio, credo si intitoli “Una donna nel lago”, ma non ricordo di averlo visto.

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