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In verità, se si osserva una pittura o una scultura senza parteciparvi, al livello di partecipazione che si ha ascoltando musica, cioè, se si ascolta come musica di sottofondo, allora è musica di sottofondo; se attraversi il Whitney Museum e ti limiti a guardare con la coda dell’occhio le cose esposte, allora è pittura di sottofondo, e se guardi certa pittura e dici soltanto “ah, è questo stile, o quest’altro”, non vuol dire niente. Sfortunatamente quello è probabilmente il modo in cui il 98-99% dell’arte viene esperita: come categoria, come una sorta di giudizio intellettuale. Se non si è realmente portati via, se non si è fisicamente mossi, ma proprio al punto di temere per la propria vita e sanità di mente, allora, praticamente, “non funziona”. È la frase degli anni ’50, “funzionare”. Funziona il quadro? Per dire, se realmente non ci si sente mancare il fiato, se non ti accasci e muori, se non ti senti realmente scappar via, se il tuo battito cardiaco non aumenta… Se non soddisfa queste semplici esigenze, se non ti provoca la sensazione che proveresti nuotando nell’oceano o montando un cavallo, o qualcuna delle esperienze di droga pesante che si potrebbero fare, se non eguaglia nessuna di queste importanti, intense, potenti esperienze che si potrebbero fare nella vita, allora non è una vera opera d’arte.

Il senso del mio discorso: la cosa veramente fantastica è poter esperire un’opera d’arte per un certo periodo di tempo. Per esempio, sappiamo che l’architettura ha sempre tenuto in considerazione questo aspetto. Si va in un palazzo, in una casa, si fa esperienza dei diversi piani, seduti in certe stanze per un certo tempo, e poi, dopo un’ora o mezz’ora oppure quattro o cinque ore si lascia il luogo. Si sono esperite tutte le proporzioni e le relazioni, si è esperito qualcosa nel tempo. Ebbene, in massima parte le sculture sono sempre state confinate al ruolo di semplici oggetti, al di là dello stile o della configurazione – espressionista, figurativo o quant’altro. ( … ) Quanto tempo passa una persona al cospetto di una scultura? Mediamente forse meno di un minuto, o a un massimo di cinque, forse dieci minuti. Ma poi nessuno passa tanto tempo guardando una scultura. Così, iniziando, nel 1968, a lavorare con la ‘scultura nel paesaggio’ [land sculpture] potei fare cose in una scala completamente sconosciuta fino a quel momento, e potei tenere delle persone occupate con una singola opera per periodi lunghi perfino un giorno intero. Un tempo che potrebbe essere anche più lungo, ma in questo caso, se ci vogliono due ore per arrivare all’opera, quattro ore per vederla e altre due per tornare indietro, si devono trascorrere otto ore con quest’opera, di cui almeno quattro nelle sue immediate vicinanze. Sebbene, in una certa misura, l’avvicinamento e l’allontanamento siano parti essenziali dell’esperienza dell’opera.

In Europa, è come se si dovesse sempre lottare, idealmente, contro tutti quei vecchi edifici, e [con] le vibrazioni, le vibrazioni del passato, presenti nell’architettura come nella scultura. Camminando attraverso una città europea, queste opere d’arte così ben riuscite trattengono racchiuso in esse, intrappolato, un mucchio di energia; ma tengono anche intrappolate le persone in un sistema di idee che le blocca. Intendo dire che lo spirito del Barocco resta sospeso su molta parte dell’Europa, essendo intrappolato in quella architettura. In conseguenza di ciò, [lì] c’è molto meno dello spirito del tutto aperto che esiste qui [negli USA]. Ciò che sarebbe un problema per me [se ci vivessi].

Ritengo che ogni buon lavoro dovrebbe avere almeno dieci significati, ne sono davvero convinto. Ma se ne ha soltanto uno… Infatti io penso che è probabilmente dove la pittura ‘hard edge’ e la scultura ‘hard edge’ fallirono. Sembravano avere non più che due o tre significati, quando invece dovresti averne dieci. Per dire, pensiamo alla scultura ‘hard edge’: la guardi, hai quel semplice rosso, giallo o blu, hai quel semplice contenuto geometrico, hai la combinazione di quelle due cose e magari anche una certa imponenza, sono forse quattro cose, soltanto quattro… Troppo poco per arrivare ad essere un lavoro riuscito.

Qualsiasi artista che si metta a spiegare il suo lavoro secondo me è uno stupido.

Walter De Maria (estratti da un’intervista del 1972, tradotti da me)

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Musei e giardini zoologici

Che differenza c’è fra andare in un museo o in una galleria d’arte e allo zoo? Vero, gli animale sono vivi, ma essendo imprigionati è come se fossero morti. E le opere d’arte sarebbero vive se inserite in un contesto affatto diverso, eterogeneo e libero da vincoli e costrizioni. Ma lì dentro appassiscono come piante d’appartamento tenute al buio. Entrambi, animali e opere d’arte, non si possono toccare, sia pure per motivi diversi.
Si va in musei e gallerie, oppure allo zoo, pensando di accedere a qualcosa di spirituale (nel primo caso) o di vitale (nel secondo). Perché tutte e due le dimensioni ci sono precluse nella vita di tutti i giorni, che è tutto meno che spirituale o vitale – nel senso della vita pulsante e incontrollabile. Quindi tutti nei musei e nelle gallerie, o negli zoo, dove fingere di avere esperienze reali, interagendo con presenze reali, o con espressioni spirituali genuine.

(testo scritto il 21 marzo di quest’anno, di cui mi ero dimenticato; riletto e modificato oggi)

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