Ieri sera ho scaricato da un sito internet, quasi impulsivamente, un film greco del 1956, per me del tutto nuovo, mai visto, e di cui neppure avevo mai sentito parlare. Lo avrei visto dopo cena, come faccio praticamente tutte le sere (intendo vedere un film in dvd). Ben presto, è comparsa la giovane donna da cui il titolo del film (Una ragazza in nero), impersonata da un’attrice greca che non avevo mai visto prima. Mi ha subito colpito la sua forte rassomiglianza con una giovane donna – già mamma di un bimbo che dovrebbe avere al massimo due anni – che da qualche mese è venuta ad abitare proprio qui davanti, con l’altrettanto giovane marito. Inizialmente mi aveva colpito, non so bene per quali motivi, anche se direi soprattutto per l’espressione quasi sempre seria, pensierosa, e nello stesso tempo altera, su un viso interessante. Mi ero fatto l’idea che non fosse felice della sua nuova casa, e mi sembrava che il suo rapporto col marito non fosse sereno, ma chissà, ci potevano essere chissà quali altri motivi. Lui sempre premuroso, pieno di attenzioni, sempre in movimento, portando a casa la spesa, oppure il bimbo a passeggio, spesso con il loro cane nero, peloso, tranquillo (mai sentito abbaiare, quando qui intorno ci sono decine di cani, quasi tutti piuttosto nevrotici e rumorosi). Ma negli ultimi tempi lei sembra più serena, le amorose attenzioni del marito (un tipo magro, sembra anche un po’ più giovane di lei), che a volte ho colto mentre, per strada, la accarezzava, suscitando in lei un certo imbarazzo, ma anche piacere, ovvio, piano piano stanno avendo successo, e la si vede più distesa e meglio disposta al sorriso e alla benevolenza di lui nei suoi confronti, più serena in generale.

Anche la ragazza del film è seria, e molto triste, la vita le ha già procurato molti dispiaceri, è disillusa, rassegnata. Ma il giovane ateniese – uno scrittore – venuto in vacanza a Hydra con un amico la nota subito, e cerca di starle appresso il più possibile, sfruttando ogni minima occasione. Il film era così così, ma anche percorso da diversi colpi di scena, quindi non noioso. E ogni volta che la mdp inquadrava lei, il mio pensiero andava sempre all’altra, la giovane mamma che sta qui vicino, per la loro somiglianza a tratti veramente incredibile. Tutto comunque si volge al meglio, alla fine si aprono inaspettate e luminose prospettive, dopo una tragedia che coinvolge l’incolpevole scrittorello ateniese: la ragazza in nero, attraverso l’amore – mai provato prima – riesce a uscire dalla sua apatia, coinvolgendo lui stesso, che finalmente sembra deciso a prendere sul serio la sua vita, dividendola con lei. Ora, al di là della storia – o delle storie, perché ci sono diverse sottotrame che si intersecano con quella principale, della storia d’amore fra i due – io ero anche interessato al luogo, l’isola di Hydra, non lontana da Atene. Soltanto stamattina, mentre cercavo notizie sul film, ho capito che questo nome mi era già noto, anche se ieri sera non me ne ero reso conto. A Hydra visse a lungo, sia consecutivamente sia ritornandoci ogni tanto, Leonard Cohen quando aveva dai 25 anni in poi, e lì conobbe Marianne, la norvegese che ispirò poi la celeberrima canzone, instaurando con lei quella che davvero pare una grande storia d’amore, protrattasi ben oltre la loro separazione, dato che rimasero sempre in contatto, scrivendosi spesso, e vedendosi ogni tanto, fino alla morte di entrambi, nel 2016, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra (lei a luglio, lui a novembre). L’incontro fra i due (descritto da lei stessa in modo alquanto icastico, affascinante1) ebbe luogo nel 1960, circa cinque anni dopo le riprese del film, quindi sicuramente – a quei tempi i cambiamenti erano ancora molto lenti, se non assenti – era tutto uguale come lo vediamo nel film, le strade in salita, lastricate in pietra, le case bianche, il cielo terso, e le persone (molti i bambini), con i cori degli uomini nelle taverne, lo stesso mare limpido e dalla colorazione intensa.
(testo scritto lo scorso 27 giugno)
1 Curiosamente, l’apparizione di Cohen sulla soglia del negozio dove lei si trovava in quel momento, piangendo sconsolata, ricorda moltissimo quella dell’ufficiale russo – ovvero Bruno Ganz – all’inizio della Marchesa von… di Rohmer (da Kleist), che lo vede così, anche lei come Marianne, per la prima volta.
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