Non mi interessa se sei un pittore o un architetto, non puoi combattere il sistema. Per come la penso io, se lo combatti vuol dire solo che vuoi unirti ad esso.
Credo che la maggior parte delle persone siano come me: non sanno cosa gli piace finché non l’hanno visto.
Fare un film è un mistero. Se sapessi già qualcosa sugli uomini e le donne non lo farei, perché mi annoierebbe.
La cosa importante è lavorare con attori a cui piace il loro lavoro e che sono pronti a esplorare insieme a me qualcosa che non sappiamo ancora.
Il dialogo dovrebbe essere così strettamente legato all’evento che non lo avverti come dialogo, non avverti il fatto che le persone stiano parlando, ne avverti le emozioni. Sono più interessato alle motivazioni del dialogo, alle emozioni espresse in quel momento, che alle parole giuste.
Devi combattere contro quello che sai, perché una volta che sai diventa molto più difficile rimanere aperti e creativi.
L’idea è di avere un teatro in cui la gente non sa cosa va a vedere, va e basta. (…) Il pubblico di oggi non prova il brivido dell’attesa.
In questo film, ogni volta che qualcuno pensa che stia per succedere qualcosa succede qualcos’altro.
Non puoi venderti per dieci centesimi e aspettarti di ricavare un milione. Devi essere pronto a tutto. Sia che tu riesca sia che tu fallisca, devi cercare quello che ti renderà migliore quando avrai finito. Mi piace lavorare con gli amici, e per gli amici, su qualcosa che potrebbe aiutare qualcuno. Qualcosa che sia pieno di senso dell’umorismo, di tristezza, di cose semplici.
John Cassavetes, s.d. (estratti da “John Cassavetes. Un’autobiografia postuma”, a cura di Ray Carney; traduzione di Silvia Castoldi)