Si era portato appresso il portafoglio finché non gli aveva aperto un taglio ad angolo retto nella tasca dei pantaloni. Poi un giorno si era seduto sul ciglio della strada, l’aveva tirato fuori e aveva controllato cosa c’era dentro. Un po’ di soldi, carte di credito. La patente di guida. Una foto della moglie. Aveva disposto tutto sull’asfalto. Come un mazzo di carte da gioco. Aveva lanciato nel bosco il pezzo di cuoio annerito dal sudore ed era rimasto lì con la foto in mano. Poi aveva posato sulla strada anche quella, si era alzato e avevano ripreso il cammino.
Avevi degli amici?
Sì, ne avevo.
Tanti?
Sì.
Te li ricordi?
Sì. Me li ricordo.
Che fine hanno fatto?
Sono morti.
Tutti?
Sì. Tutti.
E ti mancano?
Sì.
Non vuole dirmi il suo vero nome?
Non glielo voglio dire.
Perché?
Non mi fido. Ho paura che ci faccia qualcosa. Non voglio che si parli di me. Che si dica dove sono stato o che cosa ho detto mentre ero in un certo posto. Voglio dire, lei potrebbe anche parlare di me. Ma nessuno avrà la certezza che sono io. Potrei essere chiunque. Penso che di questi tempi meno si dice e meglio è. Se fosse successo qualcosa e fossimo sopravvissuti e ci fossimo incontrati qui per la strada avremmo di che parlare. Ma non è così, quindi non abbiamo niente da dirci.
estratti da La strada, di Cormac McCarthy (tr. italiana Martina Testa)
(sesta notizia dall’esilio)