A volte mi capita (o meglio, mi capitava, non frequentando più musei e gallerie) di incontrare, in qualche sala, confusa in mezzo a tante altre, tutte messe lì in una posa irrigidita, innaturale, un’opera che conosco, che consideravo una cara amica, e non vedevo più da molto tempo. È come incontrare per strada un vecchio amico che non si vedeva da molti anni, e stentare a riconoscerlo, mentre lui proprio non ci riconosce (oppure è il contrario).
Ma in verità mi era venuto in mente, prima di mettermi a scrivere, qualcosa di un po’ diverso, anzi di peggio: è come rivedere qualcuno, ora in carcere, durante l’orario di ricevimento di parenti e amici, dietro un vetro che ci separa, e non sembra proprio più lui, non è veramente lui. Come potrebbe, trovandosi in prigione?
(mi è bastato uno sguardo al sito del museo civico, che preannuncia la sua riapertura: come sono brutte, fredde, squallide quelle sale, e come veramente le opere, belle e meno belle, sono tutte lì dentro imprigionate, inevitabilmente infelici).
[un appunto dello scorso 24 febbraio, di cui mi ero dimenticato, ritrovato, e riletto, poco fa]