
Siamo in un ospedale, due donne sono sedute accanto al letto di un’altra donna, malata. Sono tre amiche, noi che vediamo la scena lo sappiamo, e sappiamo, o comunque apprendiamo facilmente, che le due donne sedute sono venute per tenere un po’ di compagnia a quella a letto, che deve trovarsi lì già da qualche tempo, malata piuttosto seriamente. Lei è Arletty (ovvero Kati Outinen), appare intorpidita, non parla e quasi non si muove, mentre le due amiche del suo quartiere, la panettiera e la barista, stanno sedute accanto al letto. La prima, Yvette (ovvero Evelyne Didi) sta leggendo un racconto di Franz Kafka da Meditazione, il primo della raccolta per la precisione, Bimbi sulla via maestra, quello che finisce con “E i pazzi non si stancano?”, “Come potrebbero stancarsi?”. Lo legge bene, con voce non troppo alta, senza mai guardare Arletty, mentre l’altra, Claire (ovvero Elina Salo1) continua a guardare la malata a letto, e dalle sue espressioni intuiamo che sta per addormentarsi, cullata da quella bizzarra ninna nanna kafkiana. E infatti è così, un’inquadratura successiva – prima di quella sulle mani di Yvette che chiudono il libro, e la stessa sequenza – ce la mostra dormiente, la testa rilassata e l’espressione distesa, adagiata su un candido cuscino. È un’immagine particolarmente bella e intensa, quando la vidi, una sera, credo di aver smesso di respirare per qualche secondo, pareva una pittura antica e bellissima vista chissà quando e dimenticata (o piuttosto il ricordo di un’esperienza vissuta, da me stesso o da Kaurismaki, o da entrambi), fortemente intrisa di spiritualità e soprattutto di amore. È il cuore segreto di “Le Havre”, una perla buttata lì quasi con noncuranza, nascosta all’interno di un film col quale in fondo ha poco a che fare, misteriosa e sconcertante come tutta la sequenza. Che inizialmente pare uno dei frequenti casi di umorismo ‘deadpan’ del regista finnico, e invece è una delle cose, oltreché più serie, più fresche e più intense di tutto il suo cinema, un evento di pura grazia, ineffabile quanto arrestante, bressoniano ma alla maniera di Kaurismaki.
1: altra veterana del cinema di Kaurismaki, più ancora della Didi, un viso e un’espressione inconfondibili, disincanto ma anche benevolenza, una specie di fatalismo ammiccante, vitale.

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