Penso e dico anche spesso che questi ultimi due anni e mezzo sono stati i peggiori della mia vita – delle nostre vite – e a volte mi sembra di esagerare. In fondo, la mia salute è stata sempre piuttosto buona (a parte il periodo fra fine giugno e metà luglio circa), così quella dei miei familiari. Ma no, non esagero, e devo stare attento a non lasciarmi convincere, da me stesso o da chiunque, che invece sì, io stia esagerando. Basta che ci ripensi un attimo: quella sensazione di minaccia costante, da parte di un’entità non ben definibile – non certo il famigerato virus, a parte i primissimi tempi, nella primavera del 2020 – e poi la rassegnazione, che percepivo ovunque, quindi anche in me stesso, quel senso di fine ormai inevitabile («niente sarà mai più come prima», «ci vorranno anni prima che se ne esca») o quantomeno di futuro impedito, di perdita di tutte le qualità che rendono la vita degna di essere vissuta. Ecco, tutto questo non è avvenuto per caso, qualcuno si è fatto in quattro perché certi pensieri, dopo averci assillato, pian piano ci avvelenassero; qualcuno ha soffiato sul fuoco, ha stabilito ben presto, e perentoriamente, che il paese, anzi il mondo intero, fosse sotto attacco da parte di un morbo che si affermava (falsamente) essere incurabile, e tutti fossero obbligati a combattere questa entità invisibile. Sui vari media – bene orchestrati dai centri di potere –, menzogne su menzogne, ogni giorno, ogni ora, ogni attimo di ogni giorno, si accumulavano formando strati spessi e coriacei, che ottundevano la vista e il senno di tante, troppe persone. La determinazione ferma e costante a convincere tutti, perfino i bambini, di essere colpevoli, soggetti oggettivamente pericolosi, da controllare in tutti i modi, la cui libertà di movimento doveva essere fortemente limitata: un gioco perverso, in perfetta malafede, volto a rovesciare i termini della questione, scaricando su degli incolpevoli le proprie responsabilità. Con questo comportamento, determinate persone trovatesi – spesso impropriamente, se non addirittura proditoriamente – a ricoprire ruoli molto delicati, di effettivo potere decisionale, si sono dimostrate assolutamente inette e inaffidabili, venendo meno al compito che si erano impegnati a svolgere nel miglior modo possibile, per il bene della comunità. In una tale atmosfera, che pervadeva tutti gli aspetti della vita, quella in comune (peraltro sempre più limitata e in buona parte impedita) e quella individuale, era molto difficile conservare la propria serenità, il proprio equilibrio, la stessa voglia di vivere, se non a prezzo di uno sforzo immane e costante.
Perciò io non voglio, non posso e soprattutto non devo dimenticare: mi è stato fatto un danno molto grave, ci è stato fatto, a tutti, anche a chi pare non rendersene conto, e ciò è imperdonabile. Sono convinto che ci siano delle responsabilità ben precise, e qualcuno dovrebbe pagare (anche se dubito fortemente che possa accadere, se non in minima parte). Soprattuto, rimediare al danno fatto è praticamente impossibile, due anni e mezzo sono lunghi – e sono parsi ancora più lunghi, perché si è fatto in modo che ogni speranza nel domani, in un cambiamento, ci fosse tolta per sempre.
Ma tutto questo non sarebbe potuto succedere senza la connivenza – consapevole o meno, conta relativamente – della gran parte della popolazione, che non soltanto ha creduto alle menzogne e obbedito agli ordini (fin qui si è nell’alveo della – libera o meno – scelta personale) ma ha guardato prima con sospetto, poi con disapprovazione, infine, molto spesso, con una vera e propria ostilità, agli altri, quelli che non ci credevano e hanno fatto perciò una scelta diversa. Poi, col crescere esponenziale della discriminazione da parte del potere nei confronti dei dissidenti, gli obbedienti, chi scuotendo a testa chi alzando le spalle, hanno minimizzato l’entità dei fatti, fingendo di non accorgersi dell’enormità di quanto stava accadendo: l’oggettiva criminalizzazione di una parte della popolazione, spesso conoscenti, perfino amici, persone oneste e responsabili, per lo più, che sono state da quei molti abbandonati al loro destino di emarginazione e disprezzo sociale. Questa bruttissima cosa era già successa, anche in questo paese un po’ di anni fa, e, pur facendo le debite proporzioni, è ugualmente disgustosa, indegna di una persona onesta e responsabile: io spero che qualcuno, ora, si vergogni del suo comportamento, che si renda conto, sia pure in ritardo. Ma, anche in questo caso, dubito che accadrà, a parte qualche lodevole eccezione, perché dimenticare è uno dei grandi vizi di questo popolo, non soltanto di questo, anche di altri, ma di questo in particolare: credo di avere l’età e la consapevolezza (acquisita direttamente o in via mediata, attraverso esperienze altrui di cui sono venuto a conoscenza) per poter fare questa affermazione.