Oggi la gente considera gli ospedali come una realtà scontata e tende a dimenticare che, fino a circa centoventi anni fa, gli ospedali erano luoghi dove si mettevano le persone quando dovevano morire. L’idea che si vada in ospedale per farsi riparare e poi essere rispediti a casa è una novità. La gente resta ancor più sorpresa quando la informo che l’antichità non conosceva niente di simile agli ospedali. [I. I.]
Il libro [Medical Nemesis] si apre con una drammatica affermazione – «la classe medica è diventata una grave minaccia per la salute» – e prosegue poi analizzando i vari modi in cui l’egemonia medica depotenzia [disables] i propri pazienti, disfacendo il loro coraggio e la loro capacità di guarire, di soffrire, e di morire. [D. C.]
La iatrogenesi sociale è all’opera quando la cura della salute si trasforma in un articolo standardizzato, un prodotto di consumo; quando tutte le sofferenze sono “ospedalizzate” e le case diventano inospitali per la nascita, la malattia, la morte; quando la lingua in cui le persone potevano fare esperienza dei propri corpi si trasforma in un burocratese incomprensibile [gobbledegook]; o quando sofferenza, lutto e guarigione al di fuori del ruolo di paziente sono etichettate come una forma di devianza. [I. I., da Medical Nemesis]
Per chiunque studi seriamente la storia, l’enigma più grosso è proprio questo: come noi oggi si possa vivere con quello che, agli occhi delle persone di tutti i tempi e luoghi precedenti, sarebbe stato considerato una brutalità spietata e un assoluto nonsenso. [I. I., a proposito dei trapianti di organi]
Ancor più sorprendente, dal punto di vista di Medical Nemesis, è la cronicizzazione di ciò che Illich chiama «iatrogenesi culturale», dato che la gente rincorre ossessivamente immagini della salute definita in termini medici, e sempre crede di vedere effettivamente se stessa negli specchi deformanti della medicina del monitoraggio, dello screening e dell’accertamento del rischio. [D. C.]
[Illich] Credeva infatti che la crescente enfasi sul calcolo del rischio in medicina costituisse l’estrema disincarnazione della persona, perché la spinge a pensarsi non come individuo unico, ma come membro di una classe astratta sulla quale è possibile operare un calcolo delle probabilità. [D. C.]
[Illich] Aveva scritto in Medical Nemesis che la civiltà medica cerca di «abolire il bisogno di un’arte del soffrire» e produce «un progressivo appiattimento della prestazione virtuosa personale». [D. C.]
Per finire, Illich prende in considerazione la iatrogenesi culturale, che «s’instaura quando l’azienda medica mina la volontà della gente di sopportare la propria realtà»; e qui sostiene che il trattamento medico incondizionato toglie alla sofferenza e alla morte il loro senso, e scardina le tradizioni culturali che una volta permettevano alla gente di affrontarle con dignità. Il libro [Medical Nemesis] si chiude con un appello a «contromisure politiche» che contengano e limitino l’egemonia medica, altrimenti, dice, la vita finirà per diventare così medicalizzata da equivalere a «una sopravvivenza coatta in un inferno progettato e pianificato». [D. C.]
Da I fiumi a nord del futuro. Testamento di Ivan Illich, raccolto da David Cayley
(traduzione di Milka Ventura Avanzinelli)
(notizie dall’esilio /11)