Lo spazio espositivo come luogo dell’apparizione improvvisa e inaspettata /1

La sera del 5 novembre 2010, nello spazio blank di via Reggio 27 ci fu la performance Lid, di Giovanni Morbin, un nuovo episodio della serie di campo volo – inaugurata da Alis/Filliol nella primavera dello stesso anno – realizzato in collaborazione con il gruppo Diogene. A partire dalle ore 21 circa, le persone, dopo essere entrate nello spazio, arrivavano nei pressi di una piccola stanza illuminata e apparentemente vuota, subito dopo averne attraversata un’altra con diverse opere alle pareti. Guardando dentro prima di entrarci non era possibile vedere nulla, e si seppe poi che qualcuno non ci entrò proprio. Varcando la soglia, qualcun altro avrà gettato un rapido sguardo alle pareti, e vedendole vuote sarà subito uscito. Bisognava alzarlo, lo sguardo, verso il soffitto, a quasi quattro metri da terra, per poter vedere una figura umana assolutamente immobile, braccia e gambe distese, diritte e ferme, lo sguardo fisso verso qualcosa che nessun altro poteva vedere, oltre il muro che gli stava di fronte – in realtà, un angolo acuto fra due muri. Molti riconoscevano Morbin, e un sorriso affiorava spesso sulle labbra di un visitatore, ben sapendo dell’attitudine eccentrica e audace del performer, che riesce ogni volta a stupire con le sue azioni e con le sue opere. Altri no, non sapevano chi fosse, e ci fu chi rimase incerto – anche dopo, uscendo dalla stanza – sulla natura dell’apparizione, e soprattutto della figura appesa al soffitto: era vivo? O si trattava piuttosto di una statua, magari in cera? Magari una di quelle sculture cosiddette iperrealiste in voga negli anni ’70. Altri, pur percependo la vitalità della figura, si stupivano bensì della sua fissità, e sostavano a lungo ansiosi di cogliere un movimento, un batter di ciglia, il rumore di un respiro, un segno che li rassicurasse. Perché se quello era un essere umano, in carne e ossa, come mai non si muoveva? In che modo riusciva a stare lassù, fermo, come librandosi in un cielo invisibile? Ci fu poi chi, guardando in alto verso il soffitto, ma stando sulla soglia, accortosi in tempo di quella presenza inquietante, non entrò, rimase lì per qualche secondo non osando avanzare. E uno dichiarò poi che Giovanni gli era parso davvero “morto” (qualcuno che lo conosceva molto bene, e non sapeva nulla di questa performance).
Morbin aveva scrupolosamente preparato la sua performance, fabbricando un bustino di gesso (rinforzato) che indossò per attenuare la pressione del suo stesso peso sul torace, permettendogli anche di respirare agevolmente. Aveva poi individuato i punti del suo corpo, e degli arti, dove inserire degli occhielli che sarebbero serviti, facendogli passare dentro del robusto filo di ferro, per agganciarsi a nove tasselli ben fissati al soffitto. Alcuni membri di Diogene, dopo aver installato nella stanza un trabattello munito di ruote, fissarono Morbin al soffitto, agganciandolo ai nove tasselli, e sarebbero stati loro stessi a intervenire alla fine della performance, circa due ore dopo, rimontando velocemente il trabattello per sganciare il performer, ovviamente giunto al limite della resistenza, dopo tanto tempo trascorso in condizioni così difficili, diciamo pure punitive. Lo stesso Giovanni Morbin, come convenuto in anticipo, fece un segno per farci capire che la sua resistenza stava venendo meno ed era quindi giunto il momento di farlo scendere da quella scomodissima posizione, lassù contro il soffitto.
Esiste un video che documenta tutta la performance, girato con una videocamera posta a poca distanza dal punto in cui si trovava Morbin, in modo tale da riprendere le reazioni di tutti coloro che entrarono nella stanza, a naso in sù, osservandolo. Perciò egli non compare nelle immagini, e la sua figura distesa, aderente al soffitto, è soltanto ricordata dai visitatori, avendo effettivamente una funzione strumentale: è il video1 il vero residuo rappresentativo dell’opera, che si può considerare in pratica essere stata realizzata da tutti coloro che, ignari di essere ripresi da una cosiddetta videocamera di vigilanza, vi compaiono. Per una volta, il pubblico convenuto per assistere a una performance annunciata scopriva di essere il vero performer, mentre quello ‘ufficiale’ serviva in pratica per attrarre tutti coloro che avrebbero, involontariamente e inconsapevolmente, preso il suo posto al centro della scena, così come verrà appunto documentato dal video. .

1: quella sera le immagini venivano diffuse in presa diretta da uno schermo allestito nella sala espositiva adiacente, insieme ad altre opere di una mostra collettiva.

[testo scritto nel mese di febbraio 2020, tratto dal libro “Allestire una mostra – e altre iniziative apparentemente inutili (storie di e/static e blank, 1999-2018)”, di prossima pubblicazione]

Giovanni Morbin, Lid, 2010 (i preparativi)