Un Racconto di Canterbury del 1943

All’inizio di “A Canterbury Tale”, di Michael Powell e Emeric Pressburger, c’è un momento in cui, nel passaggio (una frazione di secondo) da un fotogramma all’altro sono compressi circa 600 anni. Vediamo un falconiere rilasciare il suo falco, nel XV secolo, e poi osservarlo attentamente mentre volteggia in cielo. Quei volteggi vediamo noi stessi, finché a un certo punto il falco esce dall’inquadratura, dirigendosi verso sinistra, un attimo prima che dall’alto cominci a scendere verso di noi, a grande velocità, la sagoma sempre più vicina e più chiara di un Hurricane.1 Dopo, rivediamo il falconiere, è proprio lui, ma indossa un elmetto, ora è un soldato inglese del XX secolo, siamo nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa sequenza davvero stupefacente – subito dopo una bella introduzione in cui vien fuori con chiarezza che quello del film sarà un Racconto di Canterbury aggiunto a quelli creati da Chaucer nel XV secolo – stabilisce con certezza come il tema del film sia soprattutto il tempo, e il tempo, in tutte le sue possibili scansioni e designazioni, strutturerà tutto il film. Sono infatti continui, disseminati praticamente in ogni sequenza, dati temporali spesso molto precisi, senza dei quali il film perderebbe ogni consistenza. Dopo la straordinaria sequenza in apertura, di cui si è detto, assistiamo all’arrivo del treno, sul quale viaggiano due militari, sergenti per la precisione, uno dei quali, americano, è in licenza, si trova quindi in una fase in cui il tempo è sospeso e sta a lui decidere cosa farne, dandogli insomma una struttura. Ecco che, constatato di essere costretto a passare la notte in un paesino nei pressi di Canterbury – dove era diretto, se non fosse sceso dal treno per errore –, si informa subito sul prossimo treno, e apprende che il primo partirà il mattino dopo alle 8:57. Poi, l’episodio della colla nei capelli (che informerò di sé tutta la storia, con le indagini dei tre giovani per individuare l’autore del gesto proditorio) da subito mette sul tavolo un’altra questione legata al tempo, perché l’episodio avviene poco prima della mezzanotte, e questo elemento sarà decisivo per capire quale pista seguire. Ma tutta l’inchiesta dei tre (i due soldati e una ragazza venuta in campagna “per dare una mano” in tempo di guerra) viene costruita man mano soprattutto incrociando i dati orari, quelli delle aggressioni e quelli dei giorni in cui il magistrato locale, Colpeper, era di servizio nella squadra antincendio, autorizzato quindi, nonostante il coprifuoco, a muoversi attraverso il villaggio. Ancora, apprendiamo che la ragazza, Alison, era già stata lì tre anni prima, e che Bob Johnson – il sergente americano – non riceve lettere dalla sua fidanzata da otto settimane. E nel piacevole dialogo fra quest’ultimo e il falegname locale molti elementi di misura temporale affiorano, soprattutto in relazione alla stagionatura del legname. Lo stesso sergente Johnson, alla fine, quando si troverà all’interno della Cattedrale, rapito guardando verso l’alto, pensando a una chiesetta costruita, in legno, dal nonno in Oregon, pronuncerà una data, 1887, come per stabilire una relazione, appunto temporale, fra i due luoghi, uniti dalla sua presenza in quel momento lì a Canterbury. Frequenti sono poi, nelle conversazioni fra i personaggi, le allusioni a date o ad orari, legati ad appuntamenti, per il pranzo o per una proiezione di diapositive a casa del magistrato (quando lui parlerà esplicitamente della presenza, persistente nel paesaggio circostante, di tracce risalenti a molti secoli prima). Poco prima della parte finale, quando i quattro – i sergenti, la ragazza e il magistrato – si ritroveranno insieme nello stesso scompartimento del treno diretto a Canterbury, sappiamo subito, dalla bocca di Colpeper, che il treno impiegherà dieci minuti ad arrivare, e questa informazione crea un istantaneo stato di suspence, perché quel tempo dovrà essere tutto speso per le spiegazioni, dato che i tre hanno ormai capito che lui è l’autore delle aggressioni e lui sa che loro sanno. Si mette quindi subito a parlare, velocemente, per ottimizzare quel poco tempo, ed è convincente, almeno nei confronti dell’americano e della ragazza, mentre l’altro, apparentemente, è irremovibile nel suo intento di denunciarlo alla polizia (ciò che poi non farà). L’aspetto veramente interessante di questa intensa sequenza è la sua durata, che sembra proprio quella reale, dei dieci minuti occorrenti al treno per giungere a destinazione (non è esattamente così, ma sembra esserlo, ciò che è sufficiente). Inoltre, se si compara con quella iniziale col falco e l’Hurricane, là il tempo era compresso all’estremo, seicento anni in una frazione di secondo, qui è dilatato, quei dieci minuti ci paiono davvero lunghi2, i personaggi non vogliono perderne neppure un attimo, e così noi che guardiamo: stiamo attenti ad ogni attimo, concentrati come forse mai prima nel corso del film.
Oltre alla sequenza all’inizio, ce n’è almeno un’altra, verso la metà, in cui emerge, diversamente ma con pari intensità, l’idea di un tempo immobile, dove è possibile trascorrere da un secolo all’altro in una frazione di secondo, rimanendo immobili guardando il paesaggio, e stando in ascolto. La ragazza, mentre sta passeggiando, sbuca in una radura da dove si può vedere un vasto paesaggio intatto, dal quale sbucano le torri della Cattedrale di Canterbury. Lì è un tratto del famoso Cammino dei Pellegrini, e così lei, fermandosi, riesce a udire i suoni, le voci e i rumori che avevamo udito all’inizio del film, vedendo sfilare il corteo dei pellegrini del XV secolo. Dall’erba alta sbuca Colpeper (era lì sdraiato, non visto da lei) il quale fa capire ad Alison di sapere molto bene cosa le è appena accaduto: le dice qualcosa come “ascoltare qualcosa che non è fuori ma dentro di noi”, cercando insomma di dare del fenomeno appena esperito dalla ragazza una spiegazione razionale. Ma noi avevamo udito, distintamente, quegli stessi suoni con lei, quindi non abbocchiamo.

Ps: ho fatto una breve ricerca sul Cammino dei Pellegrini verso Canterbury, mosso da una vaga intuizione, scoprendo che esso fa parte della cosiddetta Via Francigena, che partiva – anzi, parte tuttora – da Londra verso Roma, e della quale Canterbury, con la sua Cattedrale, è una delle prime tappe. La Via passa anche vicino a Torino, in Val di Susa, dove viene indicata bensì come Sentiero dei Franchi, e io ne ho percorso spesso qualche tratto, durante una delle mie escursioni, anche la scorsa estate. Anche questo evento – tutto mio, interiore – ha luogo allo stesso modo di quel prodigioso effetto di montaggio all’inizio del film di Powell e Pressburger, comprimendo il tempo, ma anche lo spazio, in modo subitaneo e vertiginoso. E crea un legame con lo stesso film ancor più saldo ed efficacie.

1: celebre caccia della RAF, prodotto dalla Hawker. Curiosamente, ‘hawk’ significa ‘falco’ in inglese, e qualche dizionario propone anche ‘falconiere’ come traduzione di ‘hawker’ (anche se il significato più comunemente ammesso è ‘venditore ambulante’).
2: trascorrono in effetti 7′ e 16”, ed è forse la sequenza più lunga del film.

[scritto il 1° aprile 2021]