Agire con decisione pur non sapendo che fare

in un certo senso una posizione disperata sarebbe una possibilità
H. Heissenbüttel

Ultimamente vedo o rivedo molti noir americani degli anni ’40 e ’50, tutti in b/n, spesso – e sono quelli che preferisco – girati in esterni, al di fuori degli studi di posa, e se è notte le figure emergono dall’ombra improvvisamente, una parte di loro, il volto o una mano, illuminata da una luce cruda e tagliente, grazie al forte contrasto con il buio fitto. Vi si vedono sempre persone in difficoltà, anche estreme, che devono risolvere, e in fretta, senza poter troppo riflettere o esitare, un problema che non avevano mai affrontato prima, e che si è presentato improvvisamente, cambiando le loro vite. Sanno di fare una scelta rischiosa, le cui conseguenze potrebbero essere fatali per loro, ma se ne assumono la responsabilità, e spesso si vedono perfino costretti a trasgredire la legge. Tutto ciò devono farlo, quasi sempre, da soli, nessuno li può aiutare, quasi mai, e spesso ci lasciano le penne, ma non sempre. Possono essere dalla parte della legge o al di fuori, ma ovviamente quelli a cui ci si sente più vicini, per i quali si prova più simpatia, fino a immedesimarci in loro, sono persone comuni, che si trovano inopinatamente, e senza averne avuto l’intenzione, catapultati in prima linea, accusati di qualcosa che non hanno commesso, oppure minacciati, di morte, loro o i loro cari, moglie o figli (“Desperate / Morirai a mezzanotte”, oppure “Criss Cross / Doppio gioco” – anche se qui una reale intenzione, sia pure venuta fuori forzosamente, c’è, nel protagonista, che poi peraltro, in un soprassalto di buon senso, pentito, si rivolterà contro i gangster a cui si era associato per fare la rapina). Ma possono anche essere fuorilegge, incalliti (il Richard Conte di “Cry of the city”), pentiti (il Victor Mature di “The kiss of death”) o ‘in erba’, come il Farley Granger di “They only live by night / La donna del bandito”. Spesso accade che si simpatizzi per loro, e non credo sia per caso, è evidente come il regista, o gli sceneggiatori, abbiano messo le cose in modo da far scaturire tale sentimento, semplicemente mostrando poliziotti anche troppo zelanti, seriosi o sprezzanti, intrisi di un moralismo che può infastidire, mentre il bandito, pur a sua volta spietato, violento e privo di scrupoli, ha comunque una sua etica, una certa lealtà, e si può innamorare di una giovanissima Debra Paget che sembra una santa, di quelle coinvolte in miracoli, ciò che accade a Richard Conte, ancora in “Cry of the night”. Mentre il suo rivale, il poliziotto, ex-amico d’infanzia, Victor Mature, quasi sempre torvo in volto – mentre Conte è spesso sorridente, fa battute argute, è brillante – davvero esagera a perseguitarlo fino alla fine, quando lo ucciderà, sparandogli alle spalle. Fra l’altro Marty Rome / Conte a un certo punto viene accusato di un delitto che non ha commesso (che non avrebbe mai potuto commettere, per la brutalità e crudeltà dei fatti, che non gli appartengono) e poi uccide lo spregevole avvocato che lo voleva incastrare, coinvolto, lui sì, in quel delitto.
Ma soprattutto mi interessa, di questi personaggi, vedere come si comportano trovandosi in certe situazioni, quando devono agire prontamente, prendere decisioni senza sapere quale potrebbe essere quella giusta, perché non hanno alcuna esperienza di un tale caso, e nessuno, o quasi nessuno, li può aiutare; essi infatti intuiscono che un comportamento ‘normale’, magari chiedendo l’aiuto della polizia, non soltanto non gli sarebbe di alcun aiuto, ma addirittura potrebbe metterli ancor di più nei guai (Steve Brodie in “Desperate / Morirai a mezzanotte”). Mi piace seguirli mentre agiscono, sempre istintivamente, perché non c’è nemmeno il tempo per riflettere, ovvero, la riflessione deve avvenire con estrema rapidità, immediatamente seguita dall’azione (oltre al precedente, ancora il Mature di “The kiss of death”).
Talvolta queste persone riescono a scamparla, sottraendosi a ingiuste persecuzioni (di gangster o poliziotti), altre volte no, gli va male, e comunque, si può anche perdere, ma con la coscienza a posto, dopo aver fatto del nostro meglio dando proprio tutto: mi sembra che questa sia la lezione che si può apprendere guardandoli. Sono passati 70 o 80 anni, ma mi sembra che in certi frangenti si possa ancora capitare facilmente, e si capiterà sempre, e dovremo sempre cavarcela da soli, senza manuali e senza ‘applicazioni’ varie. In quei film questo insegnamento veniva fuori con chiarezza. Credo fossero, e ancora sono, utili e costruttivi, pur senza averne avuto l’intenzione.
C’è un altro aspetto, relativo agli attori che interpretano i protagonisti di certi film, spesso persone che hanno sofferto nella vita vivendo situazioni analoghe e recitando se ne saranno sicuramente ricordati. Mature era veramente un italo-americano (il padre veniva dal Trentino), così come Conte, che aveva entrambi i genitori di origine italiana. Questo potrebbe spiegare perché i due sembrano così autentici, e credibili, nella propria parte – soprattutto Conte, che spesso non pare nemmeno stia recitando – così come due comprimari in “Cry of the city”, italo-americani a loro volta, che impersonano i genitori di Marty Rome.

Ps: ieri sera, 6 aprile, ho rivisto un film dei fratelli Taviani uscito poco meno di quarant’anni fa, “La notte di San Lorenzo”, pieno di personaggi e di piccole storie, quasi tutte innescate dal gesto di Galvano Galvani [Omero Antoniutti]. L’anziano fattore, non convinto, istintivamente, dalle assicurazioni del vescovo – che parla a nome dei nazi-fascisti che controllano il paese – dopo averci lungamente riflettuto, in silenzio, senza parlarne con nessuno, a un certo punto si alza in piedi su una sedia, riesce ad ottenere un minimo di silenzio (colpendo con un piede il cassetto semiaperto di un tavolo lì vicino, per fare rumore zittendo il cicaleccio) e dichiara a tutti i compaesani che lui non si recherà alle tre di notte in chiesa, come richiesto dalle autorità, ma se ne andrà prima, appena fatto buio, verso gli orti, incontro agli americani, dati ormai per molto vicini. Pacatamente, con poche ma ferme parole, propone a chiunque voglia seguirlo di partire tutti insieme a lui e ai suoi familiari, vestendosi di nero per non essere visti. Galvano ha deciso di trasgredire a un ordine emesso da un’autorità (peraltro auto-elettasi tale, quindi illegittima, sebbene potente, nei loro confronti) sentendo con forza la necessità di fare quella scelta, proprio per salvarsi da un molto probabile grave pericolo. Pericolo aggravato dal fatto di trovarsi in una situazione di oggettiva prigionia, dato che sarebbero rinchiusi nella chiesa dagli usurpatori, per favorire l’esplosione delle mine messe nelle case e facilitare così la loro fuga di fronte all’avanzare degli Alleati. Questo conta: come i protagonisti di certi noir americani1, Galvano prende una decisione difficile, disobbedendo a un ordine e uscendo dalla maggioranza; decisione che non gli eviterà – a lui e a chi lo seguirà – seri pericoli. Ma essi saranno affrontati da uomini liberi, sia pure in fuga, ciò che gli darebbe un certo vantaggio, rispetto alla molto probabile sciagura (che infatti poi avverrà) da subire inermi, chiusi dentro la chiesa come animali nella stalla2.

[scritto il 24 marzo 2021]

1: va notato che le vicende del film, ispirate a fatti veri, ebbero luogo nel 1944, nello stesso periodo storico in cui vennero girati molti noir americani. Inoltre, come molti di quelli (“La donna del bandito / They only live by night” in particolare) i fatti salienti avvengono quasi sempre di notte.
2: la chiesa verrà colpita da un proiettile di cannone che esplodendo sterminerà la folla dei paesani lì rinchiusi, uccidendone, o ferendone gravemente, moltissimi.