Il calicanto

Il calicanto che si trova tuttora sul terrazzo di via Reggio 27 proviene dalla Val Garfagnana, dove, nel giardino della casa di Addo Lodovico Trinci, autore con Daniela De Lorenzo della prima mostra di e/static, nel 1999, raccolsi qualche seme di una di queste piante proprio in quell’epoca, quasi 25 anni fa. Questa storia l’ho già raccontata altrove, di come – soprattutto per la sua origine – sia strettamente legato ad e/static e a blank, ancor di più da quando, credo alla fine del 2006 (o all’inizio del 2007) trapiantai alcune piantine, forse quattro o cinque, che nel frattempo erano cresciute sul balcone di casa mia, in un grande vaso sistemato appunto sul terrazzo di blank, che aveva appena iniziato a funzionare come nuovo spazio di e/static. Da allora esse sono ancora cresciute, a dismisura si può dire, o comunque al massimo consentito dal vaso, che è sì molto grande ma pur sempre limitato e limitante, rispetto alla natura selvaggia e smisurata.
In questi giorni stanno sbocciando i suoi fiori – i primi già da metà mese – ed essi sono, oltreché piuttosto vistosi, con i loro gialli e rossi, indistinguibili anche per il profumo molto intenso che emanano. Si può tranquillamente dire che anche un cieco, stando a pochi metri da un calicanto in piena fioritura, si accorgerebbe subito della sua presenza e lo vedrebbe, proprio grazie a quel profumo inconfondibile.
Proprio ieri notte c’era la luna piena, la prima di gennaio, che si è unita, in qualche modo, ai primi fiori dell’anno. Quelli del calicanto, infatti, fioriscono per primi (simboleggiando per i cinesi proprio il nuovo anno), quando tutte le altre piante ancora dormono, molte profondamente, altre vicine al risveglio. È insomma una pianta eccentrica, controcorrente, per questa attitudine connaturata di fare ora, in pieno inverno, ciò che tutte le altre piante faranno quando sarà primavera, o appena prima. Direi una pianta un po’ ‘bastian contrario’, in cui mi riconosco volentieri, e che anche perciò può rappresentare la storia, o meglio le storie di e/static e blank. Ho infatti sempre avuto una tendenza irreprimibile a non seguire la corrente, a non conformarmi, ma a fare, e dire, sempre quello che in quel momento mi sembrava giusto fare e dire, anche se magari sono il solo a farlo. Così il calicanto è il solo a pronunciare ora, a modo suo, la parola fiore, o la parola profumo, perché ora è venuto per lui/lei (chi lo conosce il sesso di un calicanto? io no di sicuro) il momento di farlo, né prima né dopo. E per quanto mi riguarda, anche come direttore di e/static e blank, ho sempre fatto quello che in quel momento mi sembrava giusto, se non addirittura necessario, fare, senza conformarmi a modelli esterni, altri da me. Semmai, in un certo senso un po’ come il calicanto, ho sempre avuto l’attitudine a fare, dire, scrivere sempre ogni cosa come se fosse la prima volta, partendo da zero insomma. Questo non per una sorta di insensatezza, men che meno per una qualche velleità provocatoria, ma proprio perché se avessi agito diversamente, ripetendo, conformandomi, adeguandomi, facendo quello che in quel momento sembrava di dover fare, e continuando a farlo per abitudine, avrei tradito me stesso. Peraltro, come avrei potuto? Non mi sarebbe riuscito, e in ogni caso, anche riuscendoci, per una specie di ottuso puntiglio contronatura, non mi sarei divertito, mi sarei anzi annoiato, o addirittura rattristato.

Il calicanto, nome scientifico Chimonanthus [dal greco antico: ‘fiore d’inverno’], è una pianta originaria della Cina, da dove, nel XVII secolo, fu portata in Giappone, e anche lì, come già in Cina, venne ben presto cooptata nella cultura, comparendo nelle pitture e nelle poesie anche per simboleggiare determinate virtù e qualità. Soltanto nel XIX secolo arrivò in Inghilterra, e da lì si diffuse un po’ in tutta Europa, per lo meno dove le condizioni climatiche erano favorevoli alla sua crescita (condizione sine qua non, ovviamente). Anche il mio calicanto ha viaggiato, come detto, e ancora lo farà; ogni due anni circa produce una quantità di baccelli carichi di semi al loro interno, che spesso regalo ad amici, sia qui in città sia altrove, anche fuori Italia: chi li trapianta, con un po’ di fortuna e molta cura, vedrà crescere nuove piante, ciò che potrebbe accadere – ed è già accaduto – un po’ ovunque. Esso, o essa, che mi rappresenta, in buona parte, così come rappresenta e/static e blank, per le ragioni dette sopra, anche attraverso i suoi ‘figli’ ci sopravviverà. E questo pensiero, pensato per la prima volta pochi secondi fa mentre scrivevo, mi rallegra e mi rasserena: sono davvero contento che mi sia, finalmente, venuto in testa.

26 gennaio 2024