Quel mattino caddi ben presto preda della mia irresolutezza, e mi trovai in auto andando senza convinzione, dopo aver deciso dove mi sarei diretto. Un ripiego, scelto meccanicamente, senza neppure pensarci troppo (e poi, a che scopo? a quell’ora le alternative erano ben poche).
Arrivare là, all’imbocco di un sentiero ben noto, ogni passo, si può dire, già fatto tante altre volte in passato, l’ultima soltanto pochi mesi prima. È anche piuttosto tardi, e non avendo portato niente da mangiare dovrei tornare presto, dopo aver percorso forse neppure metà della camminata, diversamente da tutte le altre volte. Mi sento un imbelle, un senso di delusione, perfino di disgusto, mi invade, togliendomi quasi ogni interesse in quel che sto facendo, e che avrei fatto.
Eppure lì, quel giorno, doveva accadere, quei momenti impensati, inattesi, ma come preparati dai primi incontri con esemplari di altre specie, più ordinari, meno ambiti; e poi quegli altri, dai colori bellissimi, che però non si possono mangiare, e nessuno li raccoglie: loro mi hanno messo sulla via giusta, senza che me ne rendessi conto, vederli, e poi fermarmi ad ammirarli, mi ha preparato a quei due incontri. Il sentiero, ancorché ben tracciato, è stretto, spesso troppo stretto, e ogni tanto si vede poco, a causa dell’erba alta o dei forti contrasti fra luci e ombre. Ma al di fuori c’è il bosco intricato, scomodo da percorrere, costellato di rovi, con salti improvvisi e rami bassi che si frappongono impedendo di camminare agevolmente. Lì perdersi è piuttosto facile, ci si deve muovere con cautela, misurando ogni mossa prima di compierla, già al primo passo si percepisce l’incertezza, ci si sente insicuri, si esita.
Era come se mi stessero aspettando, tutti e due, soltanto io potevo arrivare lì, quella mattina, oppure mai, perché già il giorno dopo sarebbe stato troppo tardi, perduto il loro fulgore discreto, la loro forza trattenuta, appena dissimulata. Gli animaletti del sottobosco, lumache soprattutto, li avrebbero mangiati. Sporgevano, con uno strano mix di fierezza e discrezione, dal fitto spessore del sottobosco, la loro forza, crescendo, deve essere irresistibile, tirano su erba, ramoscelli, anche piccole pietre se ce ne sono. Tutti e due li avevo presentiti, poco prima di vederli una sensazione indefinibile, breve ma intensa mi ha messo sull’avviso e io mi sono diretto, finalmente risoluto, là dove avevo vagamente intuito che ne avrei potuto trovare almeno uno, oltre una soglia. Sì, ho subito capito che quella, quelle, erano soglie per entrare nei due luoghi dove li avrei trovati, due piccole radure irregolari, relativamente sgombre di rami e rovi.
Il primo era sul pendio a circa 130 cm di altezza rispetto al punto in cui mi trovavo quando l’ho visto; il secondo appena un po’ più in alto, direi 150 cm. Non erano in basso, ma a un’altezza umana, così non dovevo piegare la testa per vederli, e loro stessi potevano vedermi bene. Perché ne sono certo, mi stavano aspettando. Sono stati momenti, pur nella loro brevità, intensi e galvanizzanti, che mi hanno riempito, e rimangono ancora oggi, dopo diversi giorni, indimenticabili: percepisco ancora quella sensazione, o quantomeno me la ricordo ancora bene.
Una volta trovati, stare lì a lungo, senza neppure più guardarli, se non per pochi attimi di quando in quando; basta essere lì, a pochi passi, sapere che ci sono: questo soltanto conta. Ora sono al centro del mondo, e quel punto coincide con il mio proprio centro, per una volta.
Sì, rimanere lì calmi, rilassati, senza alcuna fretta, perché quello è il posto, finalmente ci sono arrivato, e non c’è fretta di fare l’ultimo gesto, staccarli, prima uno poi l’altro, dalla terra, con delicatezza ma anche forza, per farli uscire integri. Un gesto ben meditato, preparato, e vissuto con intensità, indimenticabile: una mano per afferrare il grosso e forte gambo, l’altra per facilitare il distacco dalla terra.
Prima, per qualche minuto, la silenziosa attesa di quel breve gesto, ma senza troppo pensarci, perché sarebbe avvenuto con naturalezza, senza neppure deciderlo, così tutta la sua intensità sarebbe stata percepita, in pochi istanti di assoluta pienezza.
Dopo, tenerli in mano è come tenere in mano la propria vita, con una sicurezza che è altrettanto forte quanto labile, perché non può che durare poco. Ma dopo sarà lungamente ricordata.
[in laboratorio / miscelllanea la versione revisionata di questo testo]