Tornando dal lago, meta della mia escursione, sono su una strada sterrata quando passando accanto a un alpeggio abbandonato e in rovina noto un piccolo, curioso ponticello fatto con lastre di pietra, la più grande delle quali, messa in piano, sormonta un piccolo corso d’acqua del tutto asciutto. Nonostante la stanchezza, dopo una giornata intensa e galvanizzante, ma anche sfinente, sono incuriosito e decido di raggiungerlo, è proprio vicinissimo alla strada. Lo percorro – giusto pochi passi sulle pietre lievemente traballanti, soprattutto quella grande in piano – e mi accorgo, solo quando sono a metà, che porta a una piccola costruzione, a sua volta in pietra, la cui porta è aperta e sembra invitarmi ad entrare. Come mi accorgerò dopo, la casetta è la sola rimasta integra, muri e tetto praticamente perfetti, e un’iscrizione sull’architrave dice che venne sistemata1 nel 1999, unica dell’alpeggio, composto di almeno quattro costruzioni. Ancor prima di entrare mi accorgo, guardando dentro, della sua particolare fattura: i due muri lunghi, perpendicolari all’entrata, si stringono, già a partire dal pavimento, salendo verso il soffitto, come per comporre una volta a botte. Ma non si tratta di quello, dato che il soffitto, interrompendo la curvatura delle due pareti, è piatto: quattro grandi lastroni di pietra, appoggiati sui muri, lo formano, e l’effetto è sorprendente, non credo di aver mai visto niente di simile. A terra, in corrispondenza dei quattro grandi lastroni del soffitto, sono sistemate, messe a loro volta in fila, sei pietre, altrettanto piatte, ma più piccole di quelle del soffitto: le prime due partendo dalla soglia più grandi e più spesse, le altre, oltre che più piccole, più sottili, e due hanno una forma quadrangolare quasi perfetta; soprattutto una, quella al centro della linea, è un perfetto quadrato. Altre pietre sono sparse piuttosto disordinatamente sul pavimento, quasi tutte piccole, e fra di esse spuntano piantine verdi, anche qualche felce; sull’angolo in fondo a sinistra, proprio sotto una mensola triangolare infilata a mezz’altezza fra i due muri, della terra smossa. Nell’angolo opposto, quindi a destra rispetto all’ingresso, una piccola apertura obliqua, allo stesso livello della mensola a destra. Ci sono altre due aperture su quel muro, al centro, una sopra l’altra, la più grande sotto, ma tutte e due sono semi-sigillate da qualche piccola pietra. Dopo aver esplorato il muro di fondo – quello appena descritto – mi siedo nei pressi della porta, su una pietra piatta piuttosto grande messa proprio a sinistra, subito dopo l’entrata, e sto lì, fermo e silenzioso per diversi minuti, almeno dieci, ma forse anche di più, non posso ricordarmelo. Giro lentamente lo sguardo ovunque, sulle pareti e sul soffitto di quel piccolo sacello (a occhio, il pavimento sarà poco meno di due metri sui due lati corti e circa due metri e mezzo quelli lunghi)2 e intanto ascolto. Sento passare sulla strada la comitiva che avevo visto su al lago, e che si era mossa per ridiscendere verso la strada una decina di minuti dopo di me, poi forse un’auto, che avevo visto ferma a una curva poco prima. Non so quale potesse essere la destinazione d’uso di una simile costruzione: si potrebbe pensare a una piccola stalla, forse per poche capre, ma non ne sono convinto, anche a causa di quella strana, bellissima mensola triangolare, là dove si potrebbe appoggiare una candela, o qualche altra cosa di nessun interesse o utilità per capre o altri animali. Piano piano, sempre più intensamente, mi convinco di una destinazione non utilitaristica, ma in qualche modo spirituale, ciò che, me ne rendo conto benissimo, non avrebbe alcun senso in un luogo simile, dove tutto doveva avere un chiaro e concreto scopo, un’utilità, per il bestiame o per gli uomini che l’accudivano: non potrebbe essere altrimenti, vista l’enorme fatica che era necessaria per costruire questi alpeggi, spostando e innalzando pietre anche grandi, spesso pesantissime. Ma quella convinzione rimane in me, rafforzata dal silenzio e dalla poca luce lì dentro, proveniente dall’entrata (ci sono i cardini, ci doveva anche essere una porta in legno, un tempo) nel pieno di una delle più assolate e abbaglianti giornate di questo agosto. Un contrasto, quello fra il dentro e il fuori, che mi sembra fondamentale per accentuare la natura di quel luogo riposto, perfetto, direi proprio, per viverci un’esperienza, lunga o breve (oggi non ho molto tempo, sono anche stanco, ma ci tornerò) intensamente contemplativa e di meditazione, alternando la visione dell’interno a quella verso l’esterno, e intanto ascoltando, sempre. Mi viene ben presto di pensare, come la cosa più naturale, a ciò che accadde circa quattro anni fa in Val Pellice, quando si fece la Stanza della Quiete In Alta Montagna (vedi QUI), con due piccole opere sonore di Julius, quelle che hanno spesso il suono, da lui stesso registrato, di qualche insetto, cavalletta, grillo, oppure una cicala. Ci penso per un po’, mentre guardo assorto un po’ dappertutto, soprattutto verso l’angolo a destra in fondo, quello con la feritoia obliqua. E a un certo punto mi sembra proprio di sentirli, quei suoni, intorno a me, si sentono anzi, realmente, soltanto quelli, oltre al vento che di quando in quando soffia intorno alla casa. Mi accorgo infatti che non è un’allucinazione: attraverso le tante fessure fra le pietre dei muri a secco, proviene da fuori, e si sente benissimo stando lì dentro, il frinire di grilli e cavallette sparsi un po’ dappertutto intorno alla piccola casa. È un piccolo miracolo, come uscire da un sogno portandosi dietro un oggetto che vi avevamo visto, e soprattutto in quel momento mi rendo conto della straordinarietà di quel luogo, e della sua nascosta maestà. Si potrebbe forse rimanere lì per sempre, morti al mondo ma vivi, come mai ci si sentì altrettanto in vita.
(scritto il 23 agosto 2020)
1: dopo la mia visita di ieri, 17 settembre, mi è venuto il dubbio che addirittura la casetta fosse stata bensì costruita nel 1999, anche perché oltre a una sigla (parrebbero una C e una L) e alla data non compaiono altri dati.
2: sempre ieri, ho potuto misurare lo spazio, avendo portato con me un metro estensibile. È lungo, il sacello, 335 cm, e largo circa 240 cm; anzi, il muro opposto all’entrata misura 246 cm (ma è difficile prendere misure precise, essendo i muri non intonacati, e quindi irregolari, come le pietre che li formano). Stando in piedi, al centro, ho potuto misurare un’altezza di circa 184 cm, mentre la larghezza delle quattro lastre che formano il soffitto è di 100 cm.