
Credo di aver visto Paris, Texas quando era uscito nei cinema, nel 1984, o forse nel 1985, dipende da quando uscì in Italia, perché credo che andai subito a vederlo. Era quello un momento topico della mia vita, quando tutto stava cambiando per me e fu come ripartire da zero. Infatti da lì in poi, proprio a partire da quell’anno, dopo la grave crisi del 1983, la mia vita fu diversa, quasi completamente (nel senso che non cambiai lavoro – anche se fui trasferito fuori Torino, in una piccola città). Vedere quel film fu un’esperienza scioccante, già a partire dall’inizio, ma soprattutto la parte finale, quella nel peep-show. Ricordo ancora bene che non riuscii a fermare le lacrime, là da solo nel cinema (non credo ci fosse molta gente, doveva essere di pomeriggio): evidentemente mi immedesimavo nella vicenda di Travis, era come se vedessi me stesso rappresentato da quel personaggio. In ogni caso, si trattò di un’esperienza così intensa, quasi devastante, psicologicamente, che decisi di non rivederlo mai più, unico fra tutti i grandi film di Wenders, diciamo fino a Il cielo sopra Berlino (tutti gli altri venuti dopo per me contano poco, molti non li ho neppure mai visti).
Questo finché qualche giorno fa, trovando su internet una versione di ottima qualità, ho deciso di scaricarla: prima o poi l’avrei rivisto. È successo ieri e mentre lo guardavo ho avuto la strana sensazione, da un certo punto in poi, che non fosse lo stesso film e soprattutto la mia percezione era molto diversa da quella di allora, per quel che mi ricordavo. In particolare, avevo completamente rimosso la figura di Hunter, il figlio di Travis e Jane, in verità fondamentale, perché senza di lui non sarebbe successo niente: ritrovandolo dopo quasi quattro anni, quasi per caso, il padre capisce, sia pure non subito, cosa dovrà fare, per il bene del figlio più che per il suo. Questa mia dimenticanza non me la so spiegare, è davvero strana, anche perché Hunter stabilisce un nesso molto importante con Alice, la protagonista (quando credo avesse la stessa età) di Alice nelle città, sicuramente uno dei film di Wenders che amo di più. Forse, chissà, me ne ero reso ben conto già allora e la cosa non mi piacque, come se ci fosse una sovrapposizione fra i due personaggi che non approvavo, per qualche motivo. Fatto sta che ieri sera mi sono dapprima stupito vedendo apparire Hunter, poco dopo l’inizio del film, e soprattutto mi sono stupito dopo accorgendomi della sua importanza nello sviluppo della vicenda (mentre da subito avevo pensato che non l’avremmo più visto, una presenza episodica e marginale, senza conseguenze). Quindi, quando ho capito che sarebbe stato al centro di tutto ciò che sarebbe seguito alla sua prima apparizione, per me è stato come vedere un altro Paris, Texas, del tutto nuovo, come se Hunter fosse stato, chissà come, infilato nel film dopo il 1984.
Perciò si è creata una strana situazione dentro di me, tornato dopo circa quarant’anni a guardare un film che mi aveva davvero sconvolto quella volta, ma che non riconoscevo, non del tutto, soprattutto a causa del bambino, che allora non c’era. E questo fatto ha determinato in me una sorta di scompenso, la presenza di una mancanza, ovvero l’assenza di qualcosa che ho perduto e non potrò mai più ritrovare.
Peraltro, non potrò mai più rivedere il film come quella prima volta, mai più provare le stesse intense emozioni (ma altre certamente sì, come ieri sera), perché non sono più quello, è passato troppo tempo e in quegli anni l’intensità delle mie esperienze era tale da non potersi realmente ricordare, o meglio rivivere, anche perché non mi è mai più capitato niente del genere, e soprattutto non potrebbe capitarmi mai più.
Ma la mia impossibilità di capire, di provare le stesse emozioni di allora, io credo vada soprattutto attribuita all’apparizione (per me è stata tale, ieri sera) di Hunter, per la sua centralità nella storia: non ho mai vissuto la sua esperienza, non posso quindi immedesimarmi in lui, come invece mi fu facile, allora, farlo con quella dei suoi genitori, soprattutto con Travis, per ovvi motivi.
Forse soltanto alla fine, quando, dopo qualche minuto di studio, di naturale esitazione, il bimbo si avvicina alla madre e finalmente la abbraccia (liberando anche lei dalla tensione e dalla paura di essere rifiutata, come castigo per la sua fuga) mi sono realmente, per qualche attimo, commosso. Ma, io credo, in un modo del tutto nuovo, ben diverso da quella prima volta.
In verità ci potrebbe essere un’altra spiegazione della mia rimozione del personaggio Hunter, e forse capisco perché non mi sia venuta in mente prima. È perché mi fa sentire molto a disagio, mettendo a nudo un senso di colpa che avevo inconsapevolmente sepolto in me per tutti questi anni.
14 settembre 2024
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